Lucia Guglielminetti's books on Goodreads
Sette giorni per i lupi Sette giorni per i lupi (RVH, #2)
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Ascesa alle Tenebre Ascesa alle Tenebre (RVH, #1)
reviews: 2
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Death meets a girl

 

 

Si gettò un ultimo sguardo alle spalle.

Nella strada buia e avvolta nella nebbia non c’era traccia di anima viva; solo un ratto, solitario e circospetto, guizzò attraverso il selciato per andare a infilarsi in una grata arrugginita.

Lasciò cadere il vecchio zaino militare e si fermò a riprendere fiato, i palmi appoggiati sulle ginocchia, contro il tessuto lacero dei jeans. Inspirò a fondo, espirò e ripeté più volte, lasciando che il cuore riprendesse a battere a un ritmo normale. Calma. Calma come acqua stagnante. Nessuno mi ha seguito.

I lembi della sciarpa penzolavano flosci fin quasi a toccar terra; se li rigirò più volte attorno al collo finché il viso non fu quasi completamente sepolto. Afferrò lo zaino, se lo mise in spalla e si avvicinò all’entrata della Distilleria, un enorme edificio industriale dei primi del Novecento, caduto in disuso durante la prima guerra mondiale, bombardato durante la seconda. Ora, dopo un paio di tentativi falliti di recupero edilizio, era una specie di gigantesco relitto arenato nel cuore della città, un labirinto di pareti in mattoni mezze sfondate e massicci pilastri di cemento da cui spuntavano tubi di ferro simili a grossi pitoni corazzati. Gli sconfinati spazi degli stanzoni riecheggiavano continuamente di un pigro rumore di acqua che gocciolava. Plin, plin, plin.

Come posto, era il ritrovo ideale per i reietti della società.

Pia e Weasel si accorsero di lei solo quando fu abbastanza vicina, persi com’erano nel loro trip. Le fecero ciao con la mano, sorridendo con aria inebetita, e tornarono a raggomitolarsi sotto le coperte mentre un fuoco di fortuna traballava incerto nell’angolo e scaldava giusto il necessario per non morire congelati durante la notte. Passò oltre, perché tra poco quei due si sarebbero messi a scopare - non facevano altro che scopare e bucarsi, bucarsi e scopare, e lei non aveva voglia di vederli fare né l’una né l’altra cosa.

Imboccò le scale, alla ricerca dell’Orfana.

Non era veramente un’orfana; in realtà, non era neanche una bambina. Aveva trentanove anni, anche se ne dimostrava non più di sette, otto al massimo. Era minuta, pallida, il visino tondo e gli occhi grandi, la voce sottile e squillante. Quando le aveva chiesto che malattia avesse, lei aveva scosso la testa e fatto uno sguardo strano, e da allora non aveva più osato sollevare l’argomento. A volte aveva il sospetto che l’Orfana non fosse del tutto umana, o che fosse una specie di strega. Ma era la sua unica vera amica, in quel posto. Pia, Weasel e gli altri erano buoni, ma anche troppo fatti per poter contare davvero su di loro. Non si sarebbero accorti di niente neanche se qualcuno avesse cercato di sventrarla davanti ai loro occhi. E poi c’erano quelli che andavano e venivano, che la guardavano in un modo che le faceva paura; lei aveva imparato a starne alla larga. Sapeva di essere ancora piccola. Ma non si è mai troppo piccole per gli uomini malvagi.

L’Orfana, invece, le piaceva e le aveva insegnato molte cose utili. Per esempio, come vedere senza usare gli occhi e come riconoscere al primo colpo quando una persona mentiva o diceva la verità.

Lei, per sdebitarsi, rubava il cibo nei supermercati e nei caffè per entrambe.

 

Mentre saliva le scale, frugò nelle tasche dello zaino finché non trovò il quarto di focaccia che era riuscita a sottrarre a una tavola calda e ne strappò un morso. Sapeva più di gomma che di vera focaccia, ma andava più che bene per riempire lo stomaco. Assurdamente, mentre masticava sentì in bocca un retrogusto di limone… anzi, di torta di limoni.

Sua sorella maggiore ne andava pazza, e lei le diceva sempre che l’avrebbe fatta diventare una balena. Forse, ma mai brutta quanto te, le rispondeva sua sorella sdegnosamente. Una volta aveva cosparso una torta di talco invece che di zucchero a velo, soltanto per farla infuriare. Si era rotolata per terra dalle risate mentre sua sorella sputava e imprecava in modo molto poco consono a una vera lady. Sua madre, ovviamente, l’aveva messa in punizione per due settimane.

Ora avrebbe ucciso per rivedere sua sorella e le sue stupide torte di limoni. Smettila, sciocca ragazzina che non sei altro. Pensare al passato e alle torte di limoni non avrebbe fatto nessuna differenza; erano tutti andati, perduti. Il Dio dalle Molte Facce se li era presi tutti; tutti tranne lei. Avrebbe potuto venire per lei in qualsiasi momento; però lei aveva un piano.

 

Salite varie rampe di scale in penombra, raggiunse finalmente la Piccionaia. Lassù, soltanto lei, l’Orfana e i piccioni osavano avventurarsi; il soffitto era sfondato in più punti e la pioggia ristagnava raccogliendosi in pozze grigie sul pavimento, anch’esso sconnesso e pericolante. Ma c’era silenzio, lassù. Pace. Niente tossici né papponi, soltanto il fischio del vento, il tubare dei piccioni e, ogni tanto, qualche corvo e un gatto nero spelacchiato con un orecchio mozzo che veniva  a farsi fare qualche carezza. E quanto era bello quando nevicava… i fiocchi scendevano lenti dai pertugi nel soffitto, e lei vi danzava intorno, fingendo di essere ancora a casa.

Ma adesso… adesso non c’era la neve, non c’era il gatto, non c’erano i corvi e neanche i piccioni, e soprattutto non c’era traccia dell’Orfana.

Aguzzò la vista e notò una forma nella penombra, abbandonata contro la parete opposta; la raggiunse a passi svelti. Era una specie di fagotto; qualcosa era stato avvolto in un vecchio plaid e lasciato lì, in attesa. Con cautela, allungò il piede e spinse. Il fagotto rotolò, la coperta si aprì e ne fuoriuscì l’Orfana. Il suo colorito era grigio, spento. I suoi occhi, vitrei e sbarrati. Sembrava una bambola di pezza, inerte e floscia. Una corda era ancora strettamente avvolta attorno al suo collo.

Represse un urlo. La paura uccide. La paura uccide più della spada.

Buttò a terra lo zaino, aprì la lampo ed estrasse Needle.

Calma come acqua stagnante.

Lo zaino era pesante, l’avrebbe rallentata. Doveva andarsene da lì. Doveva scappare, di nuovo. Erano arrivati, erano lì per lei.

Veloce come un serpente.

Con Needle in pugno, abbandonò lo zaino e si lanciò verso la rampa di scale.

Silenziosa come un’ombra.

Doveva raggiungere le scale, perché quelle di sicurezza erano crollate. Erano la sua unica via di fuga ma, una volta scesa giù, sarebbe stato facile dileguarsi; conosceva la Distilleria come le sue tasche. Colui che ha paura di perdere ha già perso.

Scese a precipizio i gradini e si fermò di botto, mentre il cuore le sprofondava fin nelle viscere.

Skinner era lì ad aspettarla, fischiettando un motivetto. Le sorrise, e persino nella penombra lei poté vedere i suoi denti gialli e storti. Nella mano l’uomo faceva volteggiare un coltello a serramanico; sapeva che cosa c’era inciso sul manico, anche se non lo aveva mai visto da vicino. Un uomo scuoiato, inchiodato a una X di legno. Era quello il loro stemma.

Indietreggiò di un passo, cercando il gradino con il tallone; poi si voltò e si tuffò di nuovo su per le scale.

Calma come acqua stagnante! Rapida come un cervo, forte come un orso, veloce come un serpente!

Raggiunse di nuovo la Piccionaia…

(calma come un cervo… veloce come acqua stagnante… no no no   no)

e finì dritta tra le braccia di Yellow Dick. Più oltre, Damon Danza-per-me rideva, trascinando il corpo senza vita dell’Orfana per i polsi in una specie di macabro valzer. Alle sue spalle, sentì i passi lenti e misurati di Skinner e il ticchettare sornione del coltello a serramanico. Click, click, click. Sempre più vicino. Yellow Dick sghignazzò e le prese il mento tra le dita per guardarla in faccia.

- È lei, è proprio lei, la lupacchiotta. Guardala, Skinner, ha gli occhi grigi e il muso lungo come suo padre! Lord Roose ci farà un grosso regalo. Magari ti diamo in pasto alle ragazze, quando lui avrà finito con te, eh? Sono stufe di mangiare sempre e solo carne di gallina, quelle povere bestie!

La paura uccide più della spada.

La paura uccide più della spada.

 

Le sue nocche si strinsero sull’elsa di Needle come artigli di ferro.

 

 

 

infilzali

                con

                        la

                               p u n t a

               

 

(ricordi?)

 

 

 

E lo fece.

Needle penetrò nello stomaco molle di Yellow Dick come in un panetto di burro. Yellow Dick lasciò la presa, emise una specie di gorgoglio strozzato e dalla sua bocca sgorgò un fiotto di sangue nero. Poi crollò a terra, e nell’aria si liberò un odore rivoltante.

 

Fece per scappare, ma Skinner e Damon Danza-per-me le furono addosso in un attimo.

 

In seguito tutto si fece convulso e indistinto. Udì una specie di ringhio; in un istante, divenne tutto nero e le parve di essere trascinata da un turbine. Si ritrovò sbalzata lontano, in un angolo, in mezzo a un mucchio di foglie secche,  con la testa che le doleva e le girava. Le urla erano tremende, ma poi cessarono di colpo. Riuscì a scorgere una figura nera dai lunghi capelli bianchi curva su Skinner, il quale giaceva a terra muovendo appena le mani e le gambe; o forse era Damon Danza-per-me? Chiunque fosse l’uomo a terra, i pezzi dell’altro erano sparsi ai quattro angoli della piccionaia, e le pozzanghere sul pavimento erano diventate scarlatte.

 

La figura nera sollevò la testa e si alzò in un unico movimento flessuoso. Il suo volto era bianco come i suoi capelli, il che creava un deciso contrasto con il liquido rosso sparso su tutta la parte inferiore del suo viso. Si avvicinò lentamente. Era molto, molto alto, alto quasi quanto la Montagna. Non altrettanto massiccio, tuttavia.

 

- Ciao, bambina - disse. Sorrideva, ed era spaventoso. Ma non spaventoso come Skinner o Yellow Dick. Era spaventoso e anche bello.

- Sei una bambina fortunata, lo sai? Stavolta ti è andata bene, ma io non sempre vado a caccia in questa zona, ti avverto.

In qualche modo, le fu vicino senza preavviso. Lei scattò in piedi, stringendo Needle più forte che poteva e mettendosi istintivamente in posizione di difesa, come Syrio le aveva insegnato tanto tempo fa.

- Una spada? Cosa ci fa una bambina con una spada?

Gli occhi della creatura brillarono di curiosità.

- Cosa volevano da te, quei tizi? Chi sei, ragazzina?

Nessuno.

Non sono nessuno.

- Nessuno - rispose lei.

L’uomo nero la scrutò con attenzione, assorto, come se volesse leggerle dentro. Un’espressione di sorpresa si dipinse sulla sua faccia.

- Una bambina lupo - mormorò. - Ma non una lycan, no. Tu sei umana, lo sento dal tuo odore… eppure di notte te ne vai in giro in un corpo da lupo. Com’è possibile?

Lei tacque.

- Dunque, come devo chiamarti? Nessuno, come Ulisse?

Un guizzo nero, al margine del suo campo visivo. Riuscì a intravedere una coda lunga e un orecchio mezzo mangiucchiato.

- Cat - disse la ragazzina.

La creatura sogghignò, divertita.

- Cat, come gatto? Sei un gatto o un lupo, piccola?

- Nessuno dei due. Tutti e due. Io lo so chi sei.

L’uomo rise.

- Davvero?

- Sei il Dio dalle Molte Facce. Sei Atropo.

Il Dio divenne improvvisamente serio.

Lei si frugò nelle tasche e tirò fuori una vecchia moneta.

-È da tanto che ti cerco. Voglio fare un patto con te.

 

 

 

*

*

*

 

Lo strano individuo rise di nuovo, mostrando zanne degne di un leone... o di un lupo, ma smise di colpo, e fu come se sul suo viso fosse calata una maschera imperturbabile.

-        E cosa ti fa pensare che farei un patto con una mocciosa umana?

Cat allungò verso di lui la moneta consunta che aveva conservato per tanto tempo, sperando che quel momento prima o poi sarebbe arrivato. L'ora della vendetta. L'unica cosa che ancora le restava.

-       Questa. Tu sei Lui. Ricordo benissimo quello che mi hai detto allora. Che se ti avessi evocato con questa saresti tornato e avresti accettato di...

-   Cosa? Accettato cosa? Vuoi comprarmi con una moneta che probabilmente hai trovato nelle patatine? Ma lo sai quanto costo?

L'uomo – o quello che era – si voltò e si diresse verso l'uscita, il lungo impermeabile nero a svolazzargli alle spalle come le ali di un pipistrello, lasciando Cat imbambolata a fissarlo, con la disperazione che saliva a serrarle la gola e le faceva bruciare gli occhi.

Non piangerai. Non tu. Mai più.

Molto più semplice trasformare il dolore in odio e in rabbia. Davano forza, anche quando credevi di non averne più.

- Bugiardo! Sei solo un bugiardo, come tutti gli altri! - urlò, stringendo l'elsa della spada fino a farsi sbiancare le nocche. L'uomo si bloccò di scatto, come se gli avessero sparato. Rimase immobile per qualche istante, poi si voltò. Lentamente. Molto lentamente.

    - Come mi hai chiamato? - sibilò, con una voce che si era fatta all'improvviso di ghiaccio. Cat ebbe la sensazione che l'aria attorno a lei si condensasse, rendendole faticoso ogni respiro, ma questo non bastò a fermarla. Non potevano strapparle anche quel barlume di speranza.

-      Avevi promesso! Avevi detto che ci saresti stato! Ho solo te! Perché non riesci a capire che ho solo te?

-        Allora sei sola, bambina.

 

Con un grido selvaggio, Cat si slanciò verso l'uomo, la spada levata per colpire. Lui rimase fermo fino all'ultimo istante, poi sembrò svanire per riapparire qualche metro più a destra, disorientando la ragazzina. E di nuovo. E di nuovo. Alla fine una spinta la fece rovinare al suolo e le fece cadere la spada. Quando tentò di raccoglierla, un pesante stivale calò sulla lama, bloccandola a terra.

-        Non mi piace quando mi danno del bugiardo. Io non ti conosco e non so cosa tu ti sia messa in testa, ma non ho niente a che fare con monete del cazzo, chiaro? Dimmi del lupo, piuttosto. Tu sei lui? Vedi come lui? Entri in lui? Come funziona?

-        Io non ti dirò un bel niente. E togli il piede dalla mia spada, me la rovini, idiota.

Cat si ritrovò a penzolare a un metro da terra, tenuta per la collottola da quell'essere che la osservava con la testa un po' piegata di lato e un'espressione di moderata curiosità mista a divertimento. Adesso che, volente o nolente, poteva vederlo un po' meglio, notò le pupille verticali nelle iridi azzurre, screziate di rosso, e si accorse che i capelli non erano davvero bianchi, come le era sembrato in un primo momento, ma di un biondo chiarissimo. Un bel tipo davvero, sembrava una rockstar. Ancora prima di rendersi conto di ciò che stava facendo, fece partire un diretto che colpì la rockstar dritto sul naso, e si ritrovò di nuovo per terra. Ed ecco il ringhio. Quel suono spaventoso che aveva sentito prima che la carneficina iniziasse. Sollevò la testa di scatto e vide l'uomo con una mano premuta sul viso e gli occhi stretti in due fessure incandescenti puntati su di lei, molto più in basso. E le venisse un colpo se quel suono non proveniva da lui. Si spaventò, ma presto lo sfinimento e la disperazione presero il posto della paura. Che cosa doveva ancora succederle, per gli dei?

Sono io che porto sfortuna. Tutti quelli che mi stanno accanto muoiono. Adesso anche l'Orfana. Vorrei addormentarmi e non svegliarmi mai più.

Immersa com'era nei propri pensieri, non si accorse che il ringhio si era spento, sostituito dal silenzio più assoluto. Anzi, no. Si poteva udire il ronfare sommesso di un gatto che faceva le fusa. Quando alzò di nuovo la testa vide il Dio dalle Molte Facce che reggeva il micio nero tra le braccia, e gli grattava il mento con la mano guantata. Non lo stava guardando, il suo era un gesto automatico. Stava fissando lei, incurante della goccia di sangue che si teneva saldamente aggrappata al suo mento, come se temesse la caduta.

-        E in cosa consisterebbe questo patto? - domandò la creatura. Cat sorrise e si rialzò.

-        Tu uccidi, e io... Non lo so. Non possiedo più nulla, ma darei anche la vita, pur di ripagarti.

-        Di vite ne posso avere quante ne voglio, non mi interessa. Chi dovrei uccidere, poi?

-        Due persone. Due bastardi. Quello che ha sterminato metà della mia stirpe e suo figlio, un pazzo che adora torturare la gente. Bolton, si chiamano. Roose e Ramsey Bolton. Voglio essere lì, quando lo farai. Anzi, voglio affondare personalmente la lama nella gola di Roose. Ha ucciso mia madre e mio fratello. Li avevo ritrovati, e adesso li ho persi per sempre. Vieni, seguimi. So dove sono.

-        Che noia, ragazzina. La solita storia dell'ultimo superstite di una famiglia che cerca vendetta... Visto che sai dove sono, perché non vai a ucciderli tu stessa? Sei così coraggiosa... e poi sei armata, non dimentichiamolo. Sono sicuro che moriranno di paura, quando ti vedranno arrivare – disse l'uomo, con un ghigno sul volto.

-        Ci andrò, certo! Credi che abbia paura?

-        Prego, l'uscita è da quella parte.

-        Lo so dov'è l'uscita, grazie. Abito qui, se ti fosse sfuggito.

-        A me non sfugge niente, bambina. Non certo i tuoi modi da principessina viziata, convinta che tutti debbano essere al suo servizio. Persino un... dio.

Tremando di rabbia, Cat si avviò a grandi passi verso la scala pericolante.

-        Ci andrò, vuoi vedere? Ci sto andando proprio adesso, dio dei miei stivali, e ti farò vedere io!

La creatura la salutò con l'ennesimo sogghigno e un cenno della mano, poi Cat percepì un forte spostamento d'aria e si rese conto di essere rimasta sola.

Va bene. Va bene. Glielo avrebbe fatto vedere lei. Basta fuggire, era ora di attaccare.

 

 

 

*

 

*

 

*

 

Il vampiro la osservò allontanarsi lungo la strada deserta, appollaiato sulla cima del tetto della Distilleria. La ragazzina camminava a passi lunghi e decisi, con la piccola spada sottile ancora stretta nel pugno, e il cappuccio della felpa ben calcato sulla testa; anche se era molti metri più in basso rispetto a lui, riusciva benissimo a sentire i suoi borbottii infuriati. Ma c’era dell’altro: ondate di paura e angoscia gli si riversavano contro, probabilmente un effetto collaterale del brevissimo ma intenso contatto mentale che aveva stabilito con lei poco prima.

Odiava ammetterlo, ma tutto in quella ragazzina petulante stuzzicava la sua curiosità. Non era una figlia della strada; la sua aria altezzosa e il suo eloquio tutt’altro che sgrammaticato la tradivano. Veniva sicuramente da una famiglia benestante, se non addirittura nobile; ma cosa ci faceva, allora, in una zona della città frequentata prevalentemente da barboni, tossici e prostitute? E quegli avanzi di galera di prima? Definirli avanzi era troppo gentile. Si era avventurato per un attimo nelle loro teste, poco prima di cenare con le loro giugulari, e quel poco che aveva visto gli aveva dato l’assoluta certezza che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza Skinner e Damon Balla-Coi-Lupi o come diavolo si chiamavano. Perché accanirsi così tanto su una bambina di dieci, dodici anni al massimo? Cosa volevano da lei?

Detesti quella stupida mocciosa e nello stesso tempo ti piace. E lo sai, il perché - disse una vocina fastidiosa. Nella sua testa, tutte le vocine fastidiose avevano il tono un po’ materno, un po’ crudele della sua creatrice. È perché quella ragazzina è proprio come te. Finge di essere una combattente temibile, finge di non conoscere la paura, ma in realtà è spaventata e sola. E ti ricorda un bambino fragile che, tanto tempo fa, aveva un cane nero come suo unico amico. Sbuffò e tornò nella piccionaia, ad osservare il cadavere avvolto nella coperta. Sembrava una bambina anche quella, ma c’erano migliaia di piccole rughe attorno agli angoli della bocca e delle labbra, probabilmente invisibili ad occhio umano. Strano essere. “Tutti quelli che mi stanno accanto muoiono. Adesso anche l’Orfana.” Il pensiero della ragazzina gli era arrivato forte e chiaro. Era strano… nel brevissimo istante in cui aveva stabilito un contatto con la sua testa, aveva percepito una forza psichica travolgente, qualcosa che non gli era mai capitato con nessun altro essere umano.

E quelle immagini… quei flash… un branco di lupi, il sottobosco umido di fango e foglie putrescenti, il sentore penetrante e ferrigno del sangue di una preda… niente di tutto ciò poteva provenire da una mente umana. La prospettiva… era tutta sbagliata. E così pure l’intensità dei rumori, degli odori, dei colori. Era tutto profondamente animale. Era come se la ragazzina avesse un contatto diretto con un lupo, un vero lupo, non un licantropo. Un vero lupo, ma gigantesco. Una creatura primordiale.

 

Tornò all’aperto. Pochi balzi da un tetto all’altro e riuscì ad individuare nuovamente la piccola sagoma incappucciata e armata di spada che si allontanava dall’intrico di vicoli.

La curiosità, come al solito, aveva avuto la meglio su di lui.

 

Ma sì… Vediamo che cosa combina.

 

Si accese una sigaretta e continuò ad avanzare di tetto in tetto a lunghe falcate; stare dietro alla mocciosa non era un problema.

Dopo una mezz’ora di marcia si rese conto che la piccola Cat era arrivata alle porte di uno dei posti più pericolosi di tutta Londra.

Un vecchio luna park, ormai in abbandono da più di quindici anni. La sagoma sinistra della grande ruota panoramica si stagliava nera come uno scheletro di ferro contro la nebbia notturna della capitale, resa giallastra dall’inquinamento e dalle migliaia di luci artificiali in lontananza. Le cabine di ferro penzolanti apparivano e scomparivano dietro sfilacci di nebbia più densa. Il vento le faceva cigolare e piangere.

Cat era ormai a pochi passi dall’insegna scolorita e arrugginita appesa sopra al cancello dell’entrata.

Dreamland, ghignavano le lettere mutilate e sbilenche.

Un altro passo e raggiungerai davvero la terra dei sogni, mocciosetta.

Aveva sentito parecchie leggende metropolitane su quel posto. Si diceva che vi fossero annidati i membri di una gang tanto misteriosa quanto feroce. La Casata dell’Uomo Scuoiato, così li chiamavano i barboni e le prostitute con cui gli era capitato di parlare. Pronunciavano il nome in tono basso e riverente, quasi avessero paura che dirlo a voce alta avrebbe firmato la loro condanna. Lui aveva indagato per un po’, più che altro per sincerarsi che dietro tutto ciò non ci fosse un clan di vampiri ribelli; il modus operandi di questa gang era fin troppo sanguinario per dei semplici esseri umani.

Scosse la testa, ripensando ai suoi sospetti infondati. Chi sono i veri mostri? I vampiri o gli umani?

A volte era difficile dirlo.

La sua mano finì inavvertitamente nella tasca dei jeans, dove le dita incontrarono qualcosa di duro e freddo. Un pezzo di metallo.

Estrasse la mano e osservò la strana moneta, marrone e verde di ossidazione, mezza mangiata dal tempo. Quando, esattamente, era finita nella sua tasca?

Il volto inciso su una delle due facce lo fissava, senza occhi né bocca. Uno spettro. “Nessuno”.

Valar Morghulis, lesse.

Che diavolo vuol dire?

Fece roteare più volte la moneta tra le dita, prima a velocità umana, poi vampira. Le due facce della moneta continuavano a sovrapporsi, sempre più rapidamente, fino a fondersi l’una nell’altra.

D’un tratto, gli parve che il volto senza faccia sorridesse. Un vero sorriso, inquietante, sinistro. Il sorriso di un demone. Fermò le dita, confuso, stordito, e la moneta cadde a terra con un tintinnio.

Il Dio… il Dio dalle Molte Facce.

Imprecando tra sé e sé, il vampiro saltò giù dal tetto. Aveva la sensazione che, se non avesse aiutato quella dannata ragazzina, non sarebbe mai più riuscito a liberarsi di quel volto che lo fissava

                   e rideva.

 

Arrivò in volata davanti al cancello; di Cat, non c’era traccia. Chiuse gli occhi e si concentrò su tutti gli altri sensi, olfatto, udito, telepatia.

 

La traccia mentale della ragazzina era più forte persino del suo odore. Corse nella direzione che l’istinto gli suggeriva.

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Commenti: 7
  • #1

    Aria (lunedì, 10 marzo 2014 14:49)

    No vabbé, stavolta sono davvero rimasta senza parole...
    Siete riuscite a mettermi insieme Arya/Cat, Raistan ed i Bolton in uno scenario che intrigherebbe pure King e con dei richiami ai trascorsi dei personaggi che hanno già rapito il mio sensibile cuoricino.
    Temo che sia appena l'inizio di una tremenda ff-dipendenza.
    Non vale, sappiatelo!!!

  • #2

    LuciaG (lunedì, 10 marzo 2014 15:00)

    Ehehehe hai visto che cosa ti abbiamo combinato?!! Ci siamo divertite come delle matte e ci siamo anche costrette ad uscire dall'apatia che ci stava un pochino ammorbando in questo periodo. Come ho detto qualche settimana fa... troppa realtà, a volte. Ma questo sogno ce lo siamo concesse, e adesso aspettiamo le vostre reazioni sghignazzando sotto i baffi. E con il prossimo episodio, l'ultimo, Claudia ha anche confezionato qualcosa di visivamente sorprendente, mentre io mi sono data alla... poesia! Non mancare, Ariuccia mia!

  • #3

    Claudia (lunedì, 10 marzo 2014 16:28)

    Hai visto?

    Sembrava follia, eppure... il potere della fanfiction! Ho amato scrivere con Lucia questa storia, sarà che Arya è uno dei miei personaggi preferiti, sarà che il suo legame con la morte secondo me si presta benissimo a un incontro fulminante con Raistan... sarà che voglio davvero che i Bolton abbiano quello che si meritano...

    Sta di fatto che sono soddisfattissima.

  • #4

    Aria (lunedì, 10 marzo 2014 16:58)

    Eheh, credo che anch'io sarò soddisfattissima!
    Arya ha un enorme credito da riscuotere dai Bolton, Raistan è un ottimo esattore: la resa dei conti si prospetta imperdibile!

  • #5

    Iris (lunedì, 10 marzo 2014 18:16)

    Evviva!Raistanvanhoeck e Game of Thrones insieme !I'm in heaven!! Bellissimo scenario poi anche io adoro Area e odio i Boston. L"arrivo del mio vampiro preferito con quel movimento fluido con cui sì alza... Uaaaaa me lo sognerò stanotte . Almeno spero!!

  • #6

    Iris (lunedì, 10 marzo 2014 18:21)


    Maledetto cellulare scusate gli errori !!!

  • #7

    LuciaG (mercoledì, 12 marzo 2014 08:55)

    Iris, ciao, scusa per il ritardo con cui ti rispondo. Ti ringrazio per il commento, e non ti preoccupare per gli errori, il T9 non perdona. Ti dirò, anche a me l'immagine a cui ti riferisci ha scaldato parecchio il sangue! Non l'ho scritto io, quel pezzo, ma la bravissima Claudia. Adesso resta qui, perchè il seguito sta per arrivare e sarà piuttosto inaspettato sotto molti punti di vista. Ciao!